Sapete cos’è un frattale?
Il cavolfiore, anzitutto, è un frattale. Ovvero ciò che in geometria si definisce un oggetto dotato di omotetia interna. In altre parole, la sua forma globale si ripete allo stesso modo su scale diverse. Ogni singola rosetta del cavolfiore, ha la stessa forma di un piccolo cavolfiore.
Potrei fermarmi qui e lasciare che siate voi a trarre le conclusioni della seguente recensione su Rimetti a noi i nostri debiti, il primo film italiano distribuito da Netflix, diretto da Antonio Morabito, interpretato da Claudio Santamaria e Marco Giallini. Perché sì, Rimetti a noi i nostri debiti è un frattale, o cavolfiore.
Non un mio delirio geometrico ma le parole di un vecchio professore polacco, vestito daJerzy Stuhr (notevole) e figlio della co-produzione polacca, a instillare l’idea che non solo questo film, ma che tutta la società sia un cavolfiore, o frattale. Lasciate che prenda in prestito altre parole pronunciate dallo stesso personaggio intorno ad un tavolo da biliardo per far luce tra i miei pensieri e dare un ulteriore affondo al mio giudizio su questo film: “per stare bene nel sistema devi avere un po’ di sistema dentro”.
Di quale sistema parliamo? Essere presenti su Netflix significa essere presenti in centonovanta Paesi, significa essere visti in ventidue lingue diverse. E’ un sistema importante. Può allora bastare prendere una singola rosetta da un sistema cinematografico che da anni spera in una rivoluzione? Una rivolta che scuota la polvere accumulata in decenni di commedie in cui tutto va bene, poi male, poi bene e si scoreggia? Netflix ha creduto in Rimetti a noi i nostri debiti, ma ci si è scordati di una parte altrettanto importante, quella del “come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Peccato. Perché le idee sono tante e si percepisce. Ma basta questo per un cinema italiano da esportare al resto del mondo? Il film ha forse ancora troppo sistema dentro per riuscirci. Giallini conferma “c’era poco budget”. Peccato. Manca quella voglia di cambiamento che ci si potrebbe aspettare. Ecco perché, a mio giudizio, Rimetti a noi i nostri debiti è un cavolfiore, o frattale. Peccato.
Veniamo al film. Marco Giallini incarna perfettamente un ruolo che sembra essergli stato cucito addosso. È un romano duro, disincantato. La cadenza della parlata, lo sguardo stanco, raccontano la fatica di chi ha visto il mondo nelle sue forme più assurde e trova ancora più assurda l’idea di spiegarlo ad un nuovo collega, di fatto rovinandolo come essere umano. Perchè gli occhi sono quelli di chi ne ha viste tante, e il sorriso è quello di chi lo fa solo per prenderti in giro.
Claudio Santamaria, dismessi i panni da eroe, sa che non basta essere chiamati Jeeg Robot per arrivare a fine mese. E allora gli tocca allearsi con i cattivi. Ma fino a che punto ci si può spingere? Questo è il cuore del film.
Sono le altre parti del corpo tuttavia, a non convincere, e non il cuore. Ci sono sequenze di training del protagonista che avrebbero potuto essere una parte davvero interessante della storia, un’occasione sprecata, mentre un intreccio sentimentale sembra essere stato inserito posticcio, come se il regista si fosse poi dimenticato ma “andiamo avanti dai dai dai che la portiamo a casa” (cit.). Lo stesso rapporto tra i due colleghi, due uomini diversi ma accomunati da uno stesso male oscuro e profondo, non viene a volte sviluppato come meriterebbe.
La colonna sonora di Andrea Guerra regge con i suoi toni classici in modo sintonico il clima che accompagna i due protagonisti nel vestire i panni di un mestiere antico, ma quantomai moderno, un mestiere fatto di pubbliche gogne, un mestiere da angeli portatori di cattive novelle. Ed è la musica a far risuonare lo stato emotivo che si respira, il cui crescendo sembra spostarci da un senso di potenza ad uno di smarrimento, fino a quando la musica cessa e cala il silenzio, improvviso. È un colpo di scena, forse atteso, ma forse proprio per questo ancora più doloroso. E quando la musica riprendere si capisce che ci si avvia verso la fine. Lo si fa attraverso il dialogo meglio riuscito tra i due gentiluomini, un piano sequenza in movimento, nel luogo più adatto ai due angeli creditori. Vale il prezzo del biglietto. Se non foste voi quelli dell’ultimo account, quelli che non pagano.
La fotografia è curata e gradevole e i colori, in alcune scene, sono usati sapientemente. Rimetti a noi i nostri debiti è un film fatto di inquadrature. Alcune simmetrie pagano l’occhio tanto quanto scoprire ogni volta quel particolare che le spezza. Perché la vita è così, c’è sempre qualcosa che stona. È un film di dialoghi lenti, di un lento scivolare in una spirale di vita senza mai capirci nulla. D’altronde, l’unico che sembra averci capito qualcosa della vita è un vecchio professore che poi, forse, ha semplicemente smesso di darle importanza.
Rimetti a noi i nostri debiti è un frattale, è una singola rosetta di un cavolfiore che si stacca dal frutto perché vuole crederci, ma è ancora in parte cavolfiore. Ma il cavolfiore in fondo, è buono anche per questo.
Voto: 3 rosette su 5