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Il mese scorso vi avevo parlato di una nuova serie che pareva promettere bene, anzi molto bene, e oggi sono qui a confermare i miei giudizi iniziali.
La serie a cui mi riferisco è American Gods. Come in precedenza mi trovo a dover ribadire che non si tratta di una serie adatta a tutti, il che può essere un punto a suo favore, in quanto le serie di nicchia tendono ad essere fedeli amanti di loro stesse e, non avendo un pubblico da soddisfare con fan service, si preoccupano unicamente della propria perfetta ed egoistica riuscita. A loro discapito va invece il fatto che, volente o nolente, la serialità non sopravvive grazie ad autocompiacimento ed all’amore di 15 scapestrati ossessionati dalle serie TV, ma vive grazie agli ascolti. Ascolti che devono essere alti e che, come dimostrano molte altre serie ormai giunte da diverse stagioni a trascinare alla deriva una propria copia ormai trita e ritrita, divengono più importanti della qualità del prodotto stesso. Ecco, da questo punto di vista American Gods è fin troppo coraggiosa; pare letteralmente sbattersene dei pareri altrui. Fuller, già showrunner di Hannibal, sembra amare tanto il suo prodotto, da aver occhi unicamente per esso, da crogiolarsi nella sua ambientazione onirica, nei suoi salti temporali, da dimenticarsi quasi che dall’altra parte c’è un pubblico. Un pubblico che deve essere, purtroppo, ben più ampio di quello che aveva un tempo costituito i Fannibal. Fortunatamente pare che al momento gli ascolti siano ancora sufficienti da garantirci tranquillamente una seconda stagione che, dopo il finale di lunedì, si spera non tarderà ad essere prodotta.
La seconda metà di questa prima stagione è proseguita esattamente come la prima, ovvero con delle tempistiche altamente dilatate, come se il fulcro della questione fosse ancora presentare i due schieramenti, antiche e nuove divinità, raccontandoci le loro storie. Narrandoci quali furono i loro tempi di gloria e quali le ragioni del loro declino. Quali sono i cardini che hanno condotto Wednesday a prepararsi ad uno scontro. Ed ecco infatti che, nel penultimo episodio, momento in cui tutti eravamo bramosi di sapere come le vicissitudini potessero proseguire, la storia viene messa in pausa e si fa un passo indietro, un lungo passo indietro, tramite cui ci vengono mostrate quali siano le ragioni che hanno condotto un leprecauno di quasi 2 m ad abbandonare i tanto amati verdi prati irlandesi alla volta del nuovo mondo. Episodio quindi interamente dedicato a Mad Sweeney, non tanto al personaggio in sè, quanto alla fede ed alle credenze che ne hanno nutrito -letteralmente- per anni l’esistenza. Veniamo quindi nuovamente catapultati in un’epoca in cui il credo aveva effettivamente un significato nella vita dell’uomo, in cui esso ne condizionava le scelte e ne tracciava i cammini. In cui la Fede era un valore essenziale e non solo uno strascico di una tradizione ormai parte della routine.
Questo episodio ci rende poi consapevoli del fatto che il piano di Wednesday fosse stato, come era prevedibile, ordito ben prima dell’incontro con Shadow. Maggiori dettagli riguardo a ciò verranno però forniti in quello che è l’episodio conclusivo di questa stagione, laddove ancora una volta ci viene spiegato come l’uomo più temibile sia colui che non ha nulla da perdere, poiché ha già perso tutto. Shadow appunto. Colui che è un nessuno, il quale il caso ha selezionato affinché divenisse tassello fondamentale per una diatriba tra capricciosi Dei carenti di fedeli. E questa mancanza di seguaci non fa altro che sottolineare la contraddittoria umanità delle divinità; coloro che tanto bramerebbero primeggiare sull’uomo, si trovano invece a dipenderne pesantemente, a doverne attirare l’attenzione o rubarne qualche elogio, poichè essi stessi sono creature nate dalla mente dell’uomo che l’hanno saputo controllare certo, ma senza il cui pensiero non sono in grado di sopravvivere.
Nell’ottavo episodio abbiamo inoltre finalmente la rivelazione dell’identità di Wednesday nella scena che possiamo considerare come l’effettivo inizio dello scontro.
“This is what they call me. I’m called Glad-of-War, Grim, Raider, and Third. I am One-Eyed. I am called Highest, and True-Guesser. I am Grimnir, and I am the Hooded One. I am All-Father, and I am Gondlir Wand-Bearer. I have as many names as there are winds, as many titles as there are ways to die. My ravens are Huginn and Muninn, Thought and Memory; my wolves are Freki and Geri; my horse is the gallows. I am Odin.”
Altra menzione di merito di quest’ultimo episodio è la presenza di decine e decine di Gesù Cristo, il quale viene specificato non essere nemmeno una divinità lui stesso, ma unicamente il figlio di Dio e la cui resurrezione è stata possibile poiché qualcuno l’ha sognata nel giorno della Pasqua. Questo a ricordare come l’uomo non sia mai riuscito a concordare nemmeno nella fede, laddove essa dovrebbe riunire, si vengono invece a generare decine di credi che differiscono unicamente per semplici dettagli, i quali generano decine di figli del signore, ricordando una sorta di fotocopiatrice inceppata sulla Sindone.
American Gods si chiude dunque privando lo spettatore del boccone più succoso, lasciandolo esattamente nell’attimo antecedente l’inizio della fine, quando ormai non vi è più modo di tornare indietro, ma senza nemmeno dare alcun indizio su cosa potrà effettivamente avvenire in quanto troppi nodi sono venuti al pettine. Laura è infatti ancora morta, ma ha scoperto per quale mano è avvenuta la sua dipartita, Bilquis pur di aver followers di cui nutrirsi arriva ad allearsi con Technical boy. Odino si è finalmente rivelato ed ha compiuto la sua mossa, Ostara ha privato il mondo della Primavera e senza una redistribuzione della fede porterà l’umanità agli stremi.Un’umanità che era sempre stata abituata ad avere tutto a disposizione ed ha dimenticato come sia patire la fame e come si preghi per la propria sopravvivenza.
Unica pecca della serie è forse l’inespressività di Ricky Whittle, ma al suo fianco vi è una coralità di personaggi in grado di nascondere egregiamente questo difetto. Vedisi infatti il già citato McShane, la meravigliosa Gillian Anderson e persino di Pablo Schreiber che è riuscito a farmi scordare la sensazione rasentante il ribrezzo per suo “Pornobaffo” (OITNB).
Detto ciò non ci resta che scegliere una fazione ed attendere che salti qualche divina testa.
Camilla.