Il buco è il film spagnolo diretto da Galder Gaztelu-Urrutia che sta spopolando su Netflix, definirne un genere non è cosa facile, è forse un horror, ma per taluni aspetti ricade più nel thriller oppure ancora nel mistero o nella fantascienza. Quel che è certo è che si tratta di una pellicola molto particolare che fornisce nella sua brutalità un’accurata e schietta visione del genere umano, per gli ottimisti qui c’è ben poco spazio, ciò che traspare dell’umanità è che se posta in condizioni di disagio e di necessità, non si farà scrupoli ad oltrepassare quell’immaginaria linea imposta dalla morale.
La trama è di per sé abbastanza semplice; una fossa con un numero non identificato di piani, ove in ciascuno sono presenti due individui costretti ad una convivenza forzata di minimo un mese, al termine del quale verranno sedati e trasferiti in un altro piano. Più il livello è alto, più le condizioni sono favorevoli, perché la piattaforma con il cibo per tutti gli abitanti della fossa parte dal piano 0, ciò che succede alle vivande nel corso della discesa è unicamente affare degli inquilini. Se entrambi i soggetti sopravvivono al mese la loro convivenza è destinata a prolungarsi e via dicendo. Ogni persona ha la possibilità di portare con sé un oggetto all’interno della fossa e, mentre la maggior parte scelgono armi, il protagonista decide di portare con sé un libro, Don Chisciotte. Un idealista, bonario e innocente che si trova quindi a dover fare i conti con i propri istinti e con il proprio lato oscuro per poter sopravvivere sei mesi.
La violenza non scarseggia di certo, è un film crudo e che non lascia niente all’immaginazione: quando deve affrontare il tema del cannibalismo lo fa con una brutalità inaudita, vediamo uomini o ormai bestie raschiare lembi di carne putrefatta dai cadaveri in avanzato stato di decomposizione. L’ambientazione è sempre la medesima, una stanza di forse 15 mq cupa e fredda, entro la quale nei piani più elevati, dove non c’è competizione, nascono amicizie, ci sono risate, giochi, talvolta persino amplessi, ma quando si scende nelle profondità della struttura, si va a scavare anche nella corruzione umana e cambiano drasticamente le dinamiche, le risa sono sostituite da strazianti urla, i giochi da lotte, gli amplessi da efferati omicidi.
La fossa può quindi essere vista come un’allegoria dell’aldilà cristiano, si parte perciò dal paradiso; il piano 0, non abitato, ma colmo di prelibate e perfette pietanze quasi fosse il giardino dell’Eden, per poi mano a mano che si procede verso le fondamenta dell’edificio, addentrarsi negli inferi.
Se non avete visto il film rimediate prima di proseguire oltre, perché da qui non garantisco di salvarvi dagli spoiler.
Come dicevo prima in questa pellicola c’è ben poca speranza nella visione della natura umana, anche infatti l’idealista finisce per venire corrotto dalla violenza, finisce per passare da vittima a brutale carnefice, da preda a predatore. Arriva ad arrendersi al fatto che nessuno possa essere salvato. Ed ecco perché quando l’amministratrice finisce in cella con lui, l’aiuto che lui fornisce è una meschina minaccia rivolta agli abitanti del piano di sotto, ovvero quella di contaminargli il cibo con le proprie feci nel caso in cui non lo avessero ascoltato ed al tempo stesso sostiene di non poter convincere quelli dei piani superiori perché “non posso cagare verso l’alto”.
Brillante è l’assidua ricerca della perfezione da parte dei cuochi nel preparare le pietanze preferite dai prigionieri, andando a cercare letteralmente il pelo nell’uovo per creare piatti che verranno sin dal piano 1 brutalizzati, contaminati e danneggiati. Una perfezione del tutto fasulla e vacua, perché non è parte della natura umana, finta al pari di quella che poi ricercano Goregn e Baharat nel tentare di salvare la crema catalana in modo da riconsegnarla incolume al piano 0 nel corso della loro rivolta. Rivolta fittizia, perché non guidata da una comune insurrezione, da un comune senso di appartenenza, ma un’insurrezione violenta guidata da due ed imposta agli altri. Nessuno smette di essere egoista, nessuno abbandona il proprio inferno, nessuno razionalizza la situazione e comprende che un piccolo sacrificio del singolo può portare al beneficio della comunità. Ironico quanto la situazione ricalchi l’attuale momento storico.
In uno dei piani superiori Baharat incontra un personaggio che doveva aver conosciuto in precedenza, un saggio, l’unico animo forse non ancora corrotto da quella torre di Babele in cemento, il quale lo intima a preferire prima il dialogo alla violenza e gli sottolinea l’importanza dell’avere un simbolo, la crema catalana appunto. Ma sarà sufficiente un piano per rendersi conto che la forza delle parole ha da tempo perso peso tra quelle mura. Nessuno è disposto ad accettare un giorno di digiuno per salvare vite di gente che non conosce e che il mese successivo potrebbe sputare nel loro piatto.
Si arriva poi alla fine nella quale il Don Chisciotte e il Sancho Panza della situazione, dopo la loro probabilmente futile rivolta, sacrificano la tanto pregiata crema catalana per un bene più grande; la vita di un innocente. Ed a quel punto il simbolo cambia, l’unico modo per salvarsi è accettare che per l’attuale generazione sia troppo tardi, ma che una bambina, un’anima non ancora corrotta dal peccato, possa e debba essere il futuro. Un messaggio forte e chiaro per l’amministrazione, una falla nel sistema che più volte è stato ripetuto non prevedeva soggetti al di sotto dei 16 anni.
Così Goregn si fa da parte, si sacrifica e si ritira nell’ombra per far si che la bimba possa ascendere verso la luce e verso quello che si spera possa essere il collasso del sistema.
El Hoyo è quindi un film cinico nella sua analisi della natura umana, verso la quale sembra nutrire ben poche speranze, fornisce diversi spunti per un’approfondita analisi sociale e da qual si voglia punto lo si voglia analizzare permette di arrivare ad una diversa interpretazione del finale aperto.
Unica certezza è che entra a far parte dei must see nel catagolo Netflix.
Camilla.