The Gentlemen -Il ritorno di Ritchie-

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Continua la reclusione in casa e con essa la lista di film per i quali dovremo rinunciare alla visione in sala, tra questi v’è il nuovo pargolo di Guy Ritchie che, dopo tre pellicole deboli su commissione, torna ad avere carta bianca e confeziona un’opera vagamente autocelebrativa mettendo in gioco tutti i suoi canoni classici.

The Gentlemen è, come lo è stato C’era una volta ad Hollywood per Tarantino, un inno al cinema. La trama è abbastanza banale, parla infatti di Fletcher, un eccentrico investigatore privato, che si trova a ricattare Raymond, il braccio destro del più grande trafficante di marjuana di Londra, Mickey. E per mettere in scena ciò Ritchie confeziona un’opera di metacinema; fa si che il detective esponga il suo raggiro per mezzo di una sceneggiatura, utilizzando l’escamotage del narratore inaffidabile, il quale amalgama i fatti documentati da foto e registrazioni, con supposizioni e invenzioni volti a dare maggior pepe alla vicenda, come se un film fosse necessariamente più interessante e più energico della realtà. Una lettera d’amore al cinema dunque e nel suo omaggio scorgiamo persino un leggero citare Tarantino rubandogli l’inquadratura che per antonomasia gli appartiene, il trunk shot, ed un citare se stesso ponendo in bella vista la locandina di Operazione U.N.C.L.E. in una delle sequenze finali.

La pellicola è impregnata dello stile del regista, ci troviamo nuovamente nella sua adorata e fumosa Londra, nei suoi aggrovigliati acciottolati di strade, a correre all’impazzata con gangster nati dal nulla, caratterizzati da un linguaggio slang e che, nonostante stavolta siano imborghesiti per nascondersi tra i nobili inglesi, di poco si discostano da quelli che avevamo precedentemente visto in opere come RocknRolla. Ancora una volta il susseguirsi di eventi nasce come un effetto domino generato dalla stupidità umana, un pò lo stesso schema messo in scena dai Coen, con svariate vicende apparentemente scollegate che si incatenano le une alle altre solo per mezzo della sciagura dei personaggi e di una scrittura sempre brillante, sempre agile e veloce, in grado di tenere alta l’attenzione dello spettatore con i suoi caratteristici colpi di scena e con le sue false piste. Il regista torna in tutto e per tutto, persino nel tagliente utilizzo del suo linguaggio politicamente scorretto in un periodo storico in cui chiunque si sente offeso da chiunque, in un periodo in cui anche Grogu (Baby Yoda) viene accusato di essere offensivo e fa ciò schernendo quest’eccessiva ricerca dell’insulto e dell’offesa in una scena che vede protagonista Colin Farrell ed un improperio raziale, che poi raziale in quello specifico caso non è.

Guy Ritchie ha scelto per il film un corale di attori che negli anni è stato in grado di riscattarsi da un inizio di carriera abbastanza deludente e gli ha dato modo di regalarci alcune tra le loro migliori interpretazioni. Primo tra tutti Hugh Grant, il quale da vita a Fletcher, investigatore logorroico, sfrontato e avido, dalla sessualità ambigua che ne fa smodato uso per disorientare il suo interlocutore. Interlocutore che in questo caso è Raymond, Charlie Hunnam, criminale apparentemente calmo e pacato con un disturbo ossessivo compulsivo che viene argutamente sfruttato per salvare la situazione in almeno due occasioni e che permette l’ottima riuscita di diversi sketch. C’è poi il coach di Colin Farrell, probabilmente redento ex criminale di quartiere che cerca ora di riscattarsi salvando giovani dalla strada, ma che si trova controvoglia a doversi sporcare le mani, regalandoci quindi almeno due delle scene più esilaranti del film. La sua figura insieme ai suoi allievi è forse quella che maggiormente ricorda i personaggi più iconici di Ritchie, basti pensare agli zingari di Snatch, i quali vengono richiamati per il modo di fare. Vi è il Mickey di Matthew McConaughey, elegante trafficante alla ricerca di un modo per abbandonare il settore senza apparire debole e quindi preda facile delle gang rivali, mosso dalla forte ossessione per la moglie Ros. 

The Gentlemen è un film a tratti demenziale, ma ciò fa parte del gioco consapevole di Ritchie, è uno dei cardini della sua stessa filmografia e, al pari dei suoi predecessori, ha un forte retrogusto che sa di già visto, ma dal regista inglese in fondo non ci si aspetta altro che faccia il suo dovere di intrattenere, incuriosire e strappare qualche risata e, come per i suoi tre cavalli di battaglia, riesce nello scopo. 

Detto ciò non vi resta che far altro che bazzicare su Prime e premere play. E se c’è un vantaggio al poterlo guardare comodamente da casa è la disponibilità del VO che, in questo specifico caso, è assolutamente necessario per cogliere i diversi accenti che caratterizzano i personaggi, ma soprattutto per apprezzare la scrittura di Ritchie che nella traduzione va purtroppo a perdere molto.

Camilla.

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