Dolore è la parola chiave che ha caratterizzato interamente le tre stagioni di the Leftovers e di cui anche il finale è intriso. Le forme di dolore sono le più disparate, ciascuno dei personaggi ne è affetto, come fosse una malattia; che sia dolore legato ad un lutto, dolore per una perdita irrazionale, dolore generato da un senso di abbandono o da uno di impotenza. Pare che nessuno sia in grado di disfarsene, pare che sfuggirgli sia impensabile, perchè non vi sono cadaveri su cui piangere, né capri espiatori da accusare, non vi è alcuna spiegazione razionale che possa portare un pò di pace.
Il finale è quindi ancora una volta impregnato da quest’angoscia di fondo, sebbene, per la prima volta, si possa scorgere uno spiraglio di pace. Pace perchè, nonostante lo sgomento di anni di ricerca, Kevin è finalmente riuscito a ritrovare Nora. Pace perchè Matt è stato in grado di dire addio alla sorella. Pace in quanto Jhon ha potuto dire a sua figlia che l’amava. Ma soprattutto pace perchè, nonostante non sia stata fornita una risposta a ciascuna delle nostre domande, Nora ha saputo offire a noi ed a Kevin, attraverso un discorso egreggiamente scritto, una descrizione di un viaggio tra i due mondi; fra quello dei dipartiti e quello dei leftovers. Ha saputo mostrarci come tutto quel dolore che era stato accumulato in queste stagioni, da lei in particolar modo, non fosse ormai altro che una forma di egoismo, in quanto, sebbene loro avessero perso taluni dei loro cari, dall’altra parte fossero stati persi tutti.
“Over here, we lost some of them. But over there, they lost all of us”.
Ella si rende infatti conto che la famiglia a cui per anni si era aggrapapta, dal cui ricordo non era stata in grado di separarsi, ma da cui anzi si faceva soffocare, è in realtà fra i fortunati della realtà parallela, perchè non ha perso nient’altro che lei. Questa presa di consapevolezza, quest’acquisizione di informazioni diviene più che sufficiente per sfamare la nostra fame di risposte, sebbene non sapremo mai per quale ragione uno sceriffo che ora necessita di un pacemaker sia stato in grado di tornare indietro dalla morte svariate volte, né sapremo mai effettivamente cosa abbia generato lo sdoppiamento della realtà che ha portato taluni individui a trovarsi in una realtà ed altri in un’altra.
Ma, probabilmente, se avessero deciso di fornirci tutte le informazioni che avremmo voluto, ne sarebbe risultato un finale raffazzonato, per nulla appartenente allo stile del resto della serie. Ed invece ci troviamo di fronte ad un episodio di raccordo con l’inzio della stagione, con la scena che tanto aveva destato scalpore, ancora intriso ed avvolto da quella patina di malinconia e mistero, ancora caratterizzato da una colonna sonora incantevole, in grado di farci entrare in empatia con personaggi tanto differenti da noi.
Infine ancora una volta ci troviamo dinnanzi ad individui superstiti, superstiti di un’apocalisse tanto attesa, tanto temuta, ma mai effettivamente avvenuta. Ancora una volta siamo posti di fronte a soggetti in balia di eventi che non sono in grado né di spiegare né di gestire, ma che per la prima volta appaiono disposti a lasciarsi tutto alle spalle e a proseguire. Che per la prima volta sono effettivamente disposti a compiere quel salto nel vuoto, quell’accettazione basata sulla fede semplice e genuina che sin dal principio gli era stato richiesto. Simbolica in tal senso appare la scena in cui, durante un matrimonio, tutti i partecipanti sono invitati a disfarsi dei propri peccati, simboleggiati da delle collane di perle, affibiantoli ad una capra, animale sacrificale della situazione. Ancora una volta tutti, ma non Nora che, al contrario, finirà per, sempre metaforicamente, accollarseli salvando l’animale in questione e cingendosi ella stessa con quei monili allegoria delle colpe.
Come ho accennato precedentemente l’episodio si chiude con un discorso di Nora, posto in rilievo all’interno di un dialogo con Kevin. I due personaggi, ormai vecchi ed esausti, ormai arresi ad una mancanza di ulteriori risposte, riescono finalmente a ricongiungersi dopo anni di fughe e di ricerche. Dopo anni inutilmente sprecati a tentare di abbandonare il reciproco ricordo. La conversazione avviene nella casa della donna, sperduta nelle terre australiane, lontana da qualunque forma di vita, come se Nora ancora temesse, ancora percepisse celato dietro l’angolo, il dolore di una possibile nuova dipartita. Il tutto incorniciato da un’alba che arde prepotentemente nel cielo, da un sole che non è più in grado di posticipare la sua nascita, quasi a voler simboleggiare il nuovo, tanto bramato, inizio che viene concesso ai protagonisti. La quiete tanto attesa e tanto meritata per coloro che hanno lottato per ciò che rimaneva dell’umanità, senza effettivamente comprendere il proprio ruolo all’interno del disegno. E, con quest’immagine di serenità, si ha l’effettiva chiusura di The leftovers, serie che, non mi stancherò mai di ripetere, rappresenta uno dei migliori prodotti seriali mai visti. Perciò non ci resta che ringraziare Lindelof per questo suo lavoro e, per coloro che non avessero mai accettato il finale di Lost, è giunto ora il momento, come per i personaggi di The leftovers, di lasciarsi alle spalle il passato e di godersi il presente perdonando il creatore di queste due splendide serie.
Camilla.