Erano ormai oltre dieci anni da quando il personaggio di Lara Croft era stato sepolto negli scaffali di Hollywood in seguito a due inguardabili trasposizioni che vedevano Angelina Jolie nel ruolo principale.
Quando fu rivelata la scelta di Alicia Vikander come nuova protagonista della pellicola, le polemiche in merito non furono poche, in quanto la giovane e minuta attrice di certo non ricalca la nota fisionomia della Croft dei primi videogiochi con cui molti di noi sono cresciuti. Si è però fin da subito specificato che questo film avrebbe avuto un legame non con quei capitoli del gioco, ma bensì con il più recente, in cui la Croft è stata rappresentata come una giovane acerba sia nell’aspetto che nelle peculiarità.
La nuova pellicola si apre infatti su un ring in cui vediamo Lara, una piccola figura dai muscoli definiti, ma asciutti, subire una pesante sconfitta dall’avversaria. Fin da subito viene quindi mostrato come la storia di cui si sta andando a parlare non sia necessariamente quella di una vincente, di un’abilissima archeologa senza timori, ma, al contrario, quella di una ragazza ancora alle prese con la sua evoluzione e con la ricerca del proprio scopo.
Il film può essere facilmente diviso in due sezioni; vi è una prima parte più dinamica, realistica e frenetica ed una seconda che più ricalca le atmosfere del videogioco virando dunque sul sovrannaturale, sul mistico e sull’occulto.
Per la prima volta il personaggio di Lara non è bidimensionale, ma è composto dalla sovrapposizione di diverse sfaccettature; essa è infatti caratterizzata da debolezze, paure, desideri, è per meglio dire rappresentata con umanità. Non siamo più di fronte “all’automa” con perennemente gli indici sui grilletti, ma ci troviamo dinnanzi ad una ragazza che vive ai limiti della povertà in una caotica Londra, che scorrazza per le inviluppate vie su di una bici per racimolare qualche soldo con delle consegne, una ragazza con debiti che non accetta l’eredità che le spetta, perché essa implicherebbe accettare anche la morte del padre, scomparso da 7 anni.
Nonostante tutte le critiche che lo anticiparono Tomb Rider lotta per garantirsi il primato tra i film tratti da videogiochi e, ironia della sorte, finisce per trovare il suo punto di forza nel fatto di non aver pretese. Nel fatto di essere consapevole di non poter essere nulla di più se non una pellicola d’azione per i fan malinconici dei tempi che furono. Perciò come tale si sviluppa, sfruttando un paio di scene d’inseguimento che sono d’intrattenimento puro, nelle quali ci si trova nel mezzo di una delirante fuga nel primo caso nel centro di Londra e nel secondo nel caotico e confusionario porto di Hong Kong. Si ricreano dunque gli scattanti ed energici minuti di gioco, nei quali non si poteva distogliere lo sguardo dallo schermo per non rischiare di incappare in un drastico “game over”.
Per quanto concerne la seconda metà essa è la parte debole della pellicola; fino a che si rimaneva comunque ancorati al verosimile e ad un clima d’azione il film riusciva del tutto nel suo intento, ma, nel momento in cui si varca il confine del razionale e del reale, si viene a creare uno sbrodolone che non mantiene l’attenzione del pubblico e rischia di causare sbadigli.
Alicia Vikander delinea più che dignitosamente la fase acerba dell’eroina che tutti conosciamo, facendo dunque da apripista a quelli che di certo saranno i sequel di questa pellicola, in cui si vedrà finalmente la figura che tanto nostalgicamente tendiamo a ricordare. A suggerirci ciò è la scena di chiusura che ci introduce all’arma preferita e più classica della Croft. Come già detto vediamo una Lara molto più umana ed inconsapevole, più spinta dall’istinto e dalla testardaggine che dall’astuzia. Una Lara alle prime prese con la morte, quella vera e concreta: ella aveva solo pensato di aver perso il padre, il suo era un lutto ancora, nella sua mente, negabile, ma nel corso del film si trova a dover toccare con mano la donna con la falce, si trova a veder vite spirare a causa e per mano sua. E, in seguito a ciò, è innegabile una mutazione.
Goggins interpreta invece Vogel, il villain. Lui e la Croft non sono in fondo così diversi, entrambi sono infatti mossi dal desiderio di ricongiungersi alla propria famiglia, ma per farlo Lara deve raggiungere l’isola giapponese in cui hanno luogo gran parte delle vicende, mentre Mathias deve abbandonarla. La mancanza di una sceneggiatura solida non permette però un approfondimento del cattivo, il quale rimane dunque unicamente una macchietta utile ai fini della trama, senza in effetti aver una propria psicologia, un proprio sviluppo. Lo stesso discorso vale in realtà per tutti i personaggi corali, che si trovano a muoversi e ad agire all’ombra di Lara.
Tomb raider è quindi un film puramente d’intrattenimento, consapevole dei propri limiti e che si garantisce in tal modo di svolgere, nel bene o nel male, il proprio ruolo. Caratterizzato da una colonna sonora trash come poche e dall’evoluzione della sua protagonista che, da inetta giovane, si prepara a divenire -fatemi passare il francesismo- cazzuta depredatrice di tombe, il film permette di alleggerire due ore del proprio tempo, ma nulla più di ciò. Anche se, in effetti, talvolta è più che sufficiente.
Se questo week end non sapeste dunque cosa fare delle vostre vite, non mi sento di dirvi di correre in sala, ma levetta analogica di sx e ⭕️.
Camilla.