La questione qui è semplice, il tempo passa per tutti. Certe volte migliora le cose, rafforza i legami, dona al vino un gusto migliore, ma se parliamo di Trainspotting 2, no, il tempo non è stato un galantuomo.
Chi come me ha visto il primo Trainspotting in età adolescenziale, e sicuramente lo ha rivisto in varie fasi della propria crescita, ha un ricordo nitido e ben preciso: “scegliere di non scegliere la vita”. Da questa frase il film si costruisce: eroina, cattiveria, misantropia, James Bond, una colonna sonora da stupro e una regia cupa ma assolutamente insostituibile.
Trainspotting 2 invece rispecchia perfettamente la “teoria della vita di Sick Boy” cioè: “tutti invecchiamo, non ce la facciamo più, e questo è quanto…”
Ritroviamo tutti i personaggi, li ritroviamo nello stesso posto dove li avevamo lasciati ma non è più il posto grigio e distaccato come lo ricordavamo, ci viene presentato pieno di colori, pieno di problemi, pieno di interazioni famigliari. In Trainspotting 2 é il tempo il filo conduttore di tutto, il tempo che non lascia ai personaggi scelte, qui non puoi “scegliere di non scegliere”, qui puoi solo raccogliere i cocci della tua vita e farti in 4 per risolvere i problemi che ti si presentano.
Durante il film ci sono continui riferimenti al primo episodio, quasi a voler ricordare nostalgicamente quello che erano i personaggi ma che malauguratamente non potranno più essere.
In conclusione non posso dire che sia un brutto film, ma uscito dalla sala mi ha lasciato un retrogusto dolciastro, come il metadone per Mark Renton, invece ci sarebbe voluta una dose dell’eroina potente e pura come la neve che il buon vecchio Trainspotting ci aveva abituato ad assumere.
Con questo vi saluto o meglio vi faccio salutare con questo
Carlo Marchetti